Newsletter

Relazione sul corso di formazione

“Il gioco e la Video Intervention Therapy”

condotto da George Downing Ph.D.

Logo mini
L’Istituto
Relazione sul corso di formazione in Video Intervention Therapy svoltosi a Roma nei giorni 17-18-19 Novembre 2011, condotto dal dott. George Downing, sul tema: “Il gioco e la Video Intervention Therapy”

Relazione sui risultati complessivi della verifica

Il programma del corso di formazione è stato orientato sull’integrazione di teoria e pratica, attraverso la visione di video di casi clinici che sono stati osservati e analizzati con discussioni in gruppo, in piccoli gruppi, con role play e simulate. Nel lavoro col video un principio importante, da tenere in considerazione, è che non tutti vedono tutto e le stesse cose. E’ per questo che la suddivisione in piccoli gruppi ha arricchito il lavoro delle giornate di formazione offrendo ai partecipanti un utile caleidoscopio di considerazioni formative.A tutti i partecipanti è stata consegnata una bibliografia di riferimento per consentire un approfondimento dei temi trattati durante il corso.

Nello specifico, la verifica dell’apprendimento dell’evento è stata effettuata, oltre che dall’analisi del questionario compilato dai partecipanti, anche attraverso la discussione di casi clinici portati dai partecipanti medesimi. I partecipanti sono stati spesso suddivisi, dopo la visione dei video, in piccoli gruppi di lavoro all’interno dei quali è avvenuta la discussione. Successivamente i risultati del lavoro di gruppo sono stati riportati e discussi con tutti i partecipanti e il docente. Tutti hanno potuto cimentarsi nella discussione e verificare la bontà o meno delle proprie ipotesi. Le riflessioni sui casi clinici sono state numerose e di grande rilevanza. Il docente G. Downing ha sempre dato il suo feedback, offrendo chiarimenti e la possibilità di fare domande su quanto trattato durante l’intero corso. Sono stati valutati positivamente i contenuti delle riflessioni e le osservazioni di ognuno e pertanto i partecipanti sono risultati tutti idonei.
Si riporta di seguito una breve descrizione delle parti più significative dell’evento.

 

Primo giorno

I lavori iniziano con la presentazione del docente e poi dei partecipanti.

Il docente inizia i lavori del primo giorno soffermandosi sulla parte clinica.

L’idea che sia buono giocare con i bambini è nuova nella storia. Se guardiamo alle culture più semplici del mondo possiamo osservare che i bambini giocano con i fratelli più grandi ma non coi genitori. E’ dopo la prima guerra mondiale che l’argomento “gioco” ha assunto maggiore interesse scientifico, anche se non vi è una buona ricerca sull’argomento. Se prendiamo un campione di 100 famiglie e le dividiamo facendone giocare 50 coi propri bambini e 50 no, possiamo vedere che i bambini che hanno giocato coi propri genitori hanno uno sviluppo cognitivo migliore rispetto ai coetanei che non hanno giocato coi genitori. Al riguardo però non si sa se è il gioco o la buona atmosfera che si crea durante il gioco o ancora la relazione privilegiata del bambino con l’adulto o altro che influisce positivamente nello sviluppo.

Sappiamo che aiutare le famiglie problematiche a giocare coi figli le aiuterà a strutturare meglio le loro interazioni familiari. Si può insegnare loro a strutturare il gioco. Dopo la seconda guerra mondiale V. Axline allieva di C. Rogers, iniziò a lavorare con i bambini non con l’interpretazione del gioco ma con la tecnica del rispecchiamento e del linguaggio descrittivo usati dal suo maestro. Ella lavorava con ciò che il bambino faceva col gioco. Dopo di lei altri terapeuti hanno ideato molte teorie.

Ci si è soffermati soprattutto sulla necessità di insegnare ai genitori come strutturare il gioco coi propri figli dal momento che loro, più dei terapisti, sono presenti col bambino. In generale, una raccomandazione importante era di dire ai genitori “gioca ogni giorno, per un certo tempo (la durata dipende dai vari approcci) definito”, così che il bambino possa contare sulla presenza, l’intenzione e l’attenzione del genitore. Con le famiglie problematiche i disturbi che si riscontrano sono anche di tipo comportamentale, di connessione emotiva tra genitore e bambino e problemi di attaccamento specifici.

Con problemi di contatto emotivo, il gioco ritualizzato, fatto ogni giorno, darà la possibilità di creare un buon contatto emotivo ampliando le capacità relazionali. Il gioco strutturato può essere molto utile anche nei casi limite in cui, ad esempio, i genitori sono stati allontanati dai figli e, quando possono rivederli, non sanno cosa fare coi loro. Il gioco strutturato può essere un modo buono di relazionarsi coi figli. E’ importante che i bambini giochino con le bambole, piccoli pupazzi, costruzioni, macchine, tutto ciò che possa sviluppare l’attenzione condivisa. Bisogna incoraggiare il genitore a giocare col figlio almeno per 15 minuti al giorno, un genitore solo per volta e senza la presenza degli altri fratelli. Il gioco strutturato può creare nuove forme positive di relazione tra genitori e figli.

Downing suddivide schematicamente ciò che l’adulto deve fare durante il gioco col figlio da ciò che è opportuno evitare.

Nello specifico, le cose da fare nel gioco strutturato sono:

  • utilizzare il linguaggio descrittivo per il bambino (cosa fa il bambino, cosa vede o ascolta il bambino, lo stato emotivo del bambino)
  • lodare
  • risposta verbale-verbale
  • emozione
  • partecipazione

Nel gioco strutturato, il linguaggio descrittivo è soprattutto importante per sottolineare che cosa fa il bambino, anche se è altrettanto buono se l’adulto usa questa forma di linguaggio per comunicare ciò che egli stesso sta facendo. Nel video è importante vedere l’utilizzo di tale forma di comunicazione almeno 2 volte al minuto. E’ il bambino che sceglie che cosa fare e con cosa giocare. Il genitore deve sostenere e seguire il figlio nella sua intenzionalità. Il linguaggio descrittivo è fondamentale anche con bambini con disturbi di attenzione. Bisogna lasciare i bambini più attivi nel gioco e i genitori devono semplicemente sostenerli.

Lodare significa ad esempio dire al bambino“bravo, non era facile ma tu ci sei riuscito!”. E’ una caratteristica importante per rinforzare e mettere i limiti e, quando manca, spesso si evidenziano dei problemi di comportamento. La lode fa sentire bene il bambino, facendogli sviluppare dei buoni sentimenti di autostima. Il bambino viene infatti attenzionato per comportamenti positivi e non solo per quelli negativi. Ci sono due modi di lodare: dare una conferma breve (“Bene, bravo”) e una conferma più specifica (“E’ molto bello come hai fatto la barca!”).

Col video si può osservare se il genitore è competente riescendo a dare 2 lodi al minuto se il bambino è piccolo e un po’ meno se il bambino ha 5-6-7- anni. Per molti genitori è difficile aumentare le lodi e diminuire le domande e li si può aiutare ad esempio facendo rivedere il video da loro portato e chiedendogli se possono aggiungere una lode. Un’altra cosa che può essere utile ai genitori per aumentare la loro capacità di lodare i figli è quella di fargli annotare su un foglio, per ogni ora trascorsa insieme al bambino, quante lodi hanno fatto e per che cosa hanno lodato il bambino.

All’inizio del lavoro con i genitori, per circa due settimane, ci si ferma a questi due dettagli (linguaggio descrittivo e lode). Bisogna mettere a disposizione del bambino due, tre giocattoli e lasciare che sia lui a scegliere, il genitore deve solo seguirlo.

Le lodi piacciono al bambino e questa abilità di lodare le piccole cose sarà importante anche in altri contesti non di gioco. Il genitore rinforza il comportamento positivo e aiuta il figlio a rispettare i limiti. In terapia, nel rivedere il video con i genitori, possiamo notare quante volte ascoltiamo, in 5 minuti, il linguaggio descrittivo e la lode.

Dopo due settimane dal primo video aggiungiamo un’altra regola: l’uso della risposta verbale-verbale. Quando il bambino parla, il genitore può rispecchiare ciò che il figlio dice (ad esempio, il bambino dice “è difficile!”, l’adulto risponde elaborando in modo più dettagliato “Non ci riesci? Hai difficoltà!”). Questa capacità è importante per insegnare a dare i turni nella conversazione. La frequenza di questa categoria dipende molto da quanto parla il bambino. Se notiamo, nei video successivi, un miglioramento e un buon utilizzo di queste prime tre caratteristiche linguistiche, possiamo aggiungere un’altra competenza, l’emozione positiva. Anche se all’inizio noteremo una certa artificialità del genitore nel gioco, non importa, col tempo diventerà automatico e più spontaneo. Per quanto riguarda l’emozione positiva si guarda più all’impressione globale del video. Per la partecipazione si noterà quanto l’adulto entra nel gioco. I genitori giocano col bambino col pensiero che ciò lo preparerà a giocare con altri bambini.

Ci sono tre tipi o gradi di partecipazione:

  1. Con bambini di 2-3 anni si imita il bambino ( il bambino disegna e anche l’adulto disegna, “gioco parallelo”);
  2. Per l’adulto, se il bambino è d’accordo, può partecipare al gioco ad esempio mettendo un blocco alla torre che il figlio sta costruendo;
  3. Partecipazione più attiva dell’adulto, reciprocità, “Io faccio questo, tu fai quello” e si può inserire già una narrazione, il gioco “come se”, simbolico.

L’idea è di dare ai genitori un rituale da fare in modo molto specifico.
Queste cinque dimensioni possono essere poi utilizzate non solo nel gioco ma anche in altri contesti.

Dopo la pausa pranzo, la dott.ssa Chiara Grava espone al gruppo il suo progetto “Disturbo alimentare post-traumatico nell’infanzia”. Durante l’infanzia ci possono essere degli eventi traumatici come episodi di soffocamento, operazioni, intubazioni, sondini che possono portare il bambino al rifiuto del cibo. Ci sono tre modi in cui il bambino può rifiutare di mangiare: a) rifiuta il biberon ma accetta il cucchiaino; b) rifiuta il cibo solido; c) rifiuta il cibo.

Il ricordo dell’evento traumatico può causare angoscia ed è una minaccia cronica dello stato nutrizionale dl bambino. Il pasto è un momento molto difficile per il bambino e i suoi genitori. Questo disturbo è presente in letteratura solo sotto le voci di fobie alimentari ma forse sarà introdotto nel DSM V.

Lo studio sopra citato si compone di due gruppi di bambini che hanno avuto esperienza di reflusso, inserzione di sondino naso-gastrico, vomito intenso, episodi di soffocamento ecc.; un gruppo è composto da bambini con diagnosi di DAPT e un gruppo di controllo senza sintomi. L’ipotesi dello studio è che il gruppo con diagnosi DAPT abbia dei fattori di rischio più numerosi (ansia, psicopatologia dei genitori, stress genitoriale, relazione di coppia non ottimale). Il caso clinico proposto al gruppo riguarda il video di una bambina di 9 mesi che ha vissuto un episodio di soffocamento a causa del troppo latte materno e ha sofferto di reflusso gastro-esofageo. La madre non è riuscita a gestire la situazione ed è risultato avere un attaccamento insicuro. Nei disturbi alimentari c’è spesso una difficoltà dei genitori a lasciare autonomia ai figli. Con l’aiuto degli specialisti, la mamma di questa bambina ha imparato ad essere più calma durante l’alimentazione della figlia, ad rispettare i tempi della figlia e a darle maggiore autonomia. Il metodo utilizzato è di una graduale desensibilizzazione e l’obiettivo è superare la paura della deglutizione.

Ci sono delle linee guida da seguire per aiutare questi bambini (Chatoor, 2009):

  • Pasti ad orari regolari per permettere al bambino di sentire i segnali della fame;
  • Iniziare i pasti con alimenti che il bambino accetta senza difficoltà;
  • Incoraggiarlo a mangiare da solo, in questo modo sarà occupato e quindi meno vigile verso il cibo;
  • Usare delle distrazioni (televisione, giochi) in modo che sia meno attento alla situazione alimentare;
  • Mangiare gli stessi alimenti mostrandogli come masticare e deglutire (modellamento);
  • Offrire piccole quantità di cibo e non dare alimenti difficili;
  • Incrementare la consistenza degli alimenti molto gradualmente.

Dopo questa breve ma accurata presentazione si è passati nuovamente a discutere del gioco strutturato e soprattutto su ciò che non bisogna fare. Tra le cose sconsigliate ci sono:

  1. I comandi
  2. Le domande;
  3. Le critiche e il sarcasmo.

Nello specifico, i comandi (“fai questo, quello”) sarebbe meglio evitarli, naturalmente tranne che in casi di pericolo.

Sarebbe meglio evitare sia le domande indirette (“Questo é…”) che dirette (“Cos’è questo? Che fai?”) perché possono distrarre il bambino. Durante i 15 minuti di gioco è importante lasciare molto spazio al bambino.
La ricerca mette in luce che, durante il primo anno di vita, se la mamma usa molto il linguaggio descrittivo, lo sviluppo del bambino sarà migliore. Anche il tono della voce è importante nei primi mesi di vita poi si aggiungerà il contenuto semantico delle parole.

In generale, quando lavoriamo con la tecnica del gioco strutturato e il video, all’inizio del lavoro si spiegano ai genitori le due cose da fare (linguaggio descrittivo e lode) e le tre cose da non fare (I comandi, le domande e le critiche). Nella lettura del video coi genitori si può quindi parlare dei concetti precedentemente spiegati perché non sono per loro concetti nuovi. Nella seduta successiva si chiede ai genitori di cosa si è parlato nella seduta precedente (“Cosa si ricorda circa il linguaggio descrittivo?”) e poi si potrà di seguito passare agli altri punti sopra elencati aggiungendone uno ogni nuova seduta.

Abbiamo analizzato un video portato da un partecipante che riguarda un bambino di due anni e mezzo con diagnosi di falsa balbuzie. Il video, il terzo girato dalla signora da quando ha richiesto l’aiuto terapeutico, riprende la madre e il figlio in un’interazione di gioco. Dopo una discussione fatta in piccoli gruppi si è rivisto il video con la supervisione di Downing. I genitori sono molto motivati ma hanno fatto fatica ad entrare nel gioco. La madre, durante il gioco, fa tante domande al figlio che lo distraggono e interrompono ciò che sta facendo.

Rispetto ai video precedenti, in cui la mamma faceva molte domande didattiche che richiedevano uno sforzo cognitivo al bambino superiore alla sua età, in questo video si nota una differenza in quanto la signora fa scegliere al bambino con cosa giocare e lascia a lui la possibilità di scegliere lo scenario del gioco. Il padre, entrato per un breve momento nel gioco, è riuscito a dare struttura al gioco e a consentire che sia la madre che il figlio, riuscissero a trovare una cornice di riferimento. Il bambino cerca di collaborare con la madre e questo aspetto è predittivo di una possibilità di migliorare più rapidamente.

Dalla discussione in plenaria del caso è emerso che la madre va rinforzata sui miglioramenti che ha fatto, sulla capacità che ha dimostrato nel dare più spazio al figlio. La si dovrà invece stimolare a fare meno domande al figlio trasformando queste in linguaggio descrittivo. Poi si dovrà passare dal livello pratico a quello emozionale chiedendole ad esempio qual è il bisogno che la spinge a fare tante domande.

Per il video col gioco è importante non vederlo dall’inizio ma analizzare le sequenze dopo 5-6 minuti dall’inizio del video stesso. E’ stato evidenziato dal docente che nella situazione di gioco il contatto visivo non è molto importante come invece lo è l’attenzione condivisa.

 

Secondo giorno

I lavori del secondo giorno iniziano con la descrizione, da parte del dott. Downing dei diversi tipi di gioco. Ad oggi in letteratura non esiste una buona spiegazione del gioco ma in generale si può dire che una prima forma di gioco è il gioco fisico. C’è una differenza tra gioco di aggressività e aggressività che non è gioco. In una ricerca sono stati mostrati alcuni video a dei ragazzi per valutare se, nei giochi fisici, veniva notata una deriva aggressiva. Tutti i ragazzi sono riusciti a distinguere nettamente quando dal gioco si passava all’aggressività vera e propria.

Un’altra forma di gioco è il gioco di manipolazione che consiste nel manipolare gli oggetti. E’ un tipo di gioco funzionale e appare verso il primo anno di età.
Il gioco di costruzione è legato a capacità motorie fini e cognitive più evolute. E’ un gioco interessante che spesso il bambino fa da solo ma dà la possibilità di giocare in modo costruttivo anche con gli altri.
Ci sono poi i giochi simbolici molto diversi tra loro per complessità e funzioni cognitive-simboliche sempre più complesse.

Tra questi ci sono i giochi di design, di disegno artistico (disegno, uso del pongo ecc.). Il livello simbolico di questo gioco è più elevato rispetto alla manipolazione.
Il gioco di finzione, gioco del “come se” inizia nel secondo anno di età e poi aumenta di complessità con gli anni.
Il gioco socio-drammatico (il gioco del dottore, poliziotto, maestra ecc.) è un gioco che mostra competenze sociali elevate e prepara al mondo sociale. Inizia verso i 4-5-6 anni in poi. La variante, rispetto alle altre forme di giochi, è che c’è interazione con gli altri bambini.

I giochi di regole sono quelli da tavola. Piaget e Vygotskij ritenevano questi tipi di giochi più evoluti e apice di sviluppo cognitivo per il primo e sociale per il secondo. Oggi ci sono anche i giochi col computer molto simili a quelli di regole.

Spesso, quando i bambini giocano, utilizzano più tipi di gioco contemporaneamente e ad oggi è ancora aperta la domanda su quale tipo di gioco sia veramente importante per lo sviluppo. Per Downing sono tutti importanti e, nelle varie fasi dello sviluppo, ognuno di questi giochi ha una sua evoluzione. Nella lista dei tipi di giochi non rientrano due dimensioni: l’umorismo e l’ironia. Ci si chiede se l’umorismo sia una forma di gioco o no. L’ironia e il sarcasmo possono sfociare anche in aggressività. I bambini autistici sono carenti di queste capacità che presumono un tipo di astrazione e simbolismo evoluti.

Anche il gioco sessuale, i bambini che si toccano, che si osservano nelle parti più intime, non è menzionato in questa lista. I bambini abusati tendono o ad evitare il contatto o a privilegiare il contatto sessuale. Una versione di gioco più precoce è presente già verso i 9 mesi di età ed è quella del “ti acchiappo, ti prendo”.
Downing ha poi fornito una griglia utile per leggere il video, poter fare il confronto con gli altri video e verificare se ci sono dei cambiamenti. Si annoverano su un foglio quante volte ciascuna delle voci elencate (linguaggio descrittivo, lode, ecc) sono presenti nei cinque minuti del video che prendiamo in esame e si contano. Ai fini del conteggio delle varie dimensioni prese in esame, l’imitazione potrebbe rientrare nella voce della partecipazione; se il genitore cerca di capire ciò che il bambino vuole dire non si conta come domanda, anche le domande all’interno del gioco sociale non si contano e le emozioni positive vengono calcolate in basse, medio, alte.

A fine giornata abbiamo visto il video, portato da un partecipante al corso, riguardante un caso di gioco di bambino autistico di 4 anni. Il livello cognitivo di questo bambino è adeguato e il linguaggio buono anche se ecolalico. Downing ha sottolineato come, in caso di gioco con questi bambini, sia importante attivarli anche con la sfida e come spesso siano poco interessati al rinforzo sociale. Ha inoltre suggerito di fare dieci incontri con questa famiglia. Nei primi tre incontri si vede il gioco di 10 minuti col padre, poi la madre e infine con l’operatore. Gli altri sette incontri invece si vedranno solo i genitori che dovranno giocare a casa, tutti i giorni, per 15 minuti col figlio ma separatamente un genitore per volta.

 

Terzo giorno

La giornata si apre con una seduta che Downing fa con una coppia di genitori che hanno portato un video in cui hanno ripreso un momento di gioco delle due figlie gemelle di 20 mesi e la mamma.

Dopo una pausa si riprendono i lavori analizzando un altro video portato da un partecipante. Il video è casuale, non è stato chiesto nulla ai bambini che spontaneamente hanno iniziato a giocare. I bambini sono sei e l’età va da 3 a 11 anni, girato a fine settembre, la sera. Vedremo il video, anche se non ha finalità terapeutica. I bambini simulano l’andare a dormire (gioco socio-drammatico). Questo gioco è pieno di negoziazione (tu sei questo, ora succede questo, ecc.). La bambina più grande sa negoziare senza insistere, lascia spazio. Le negoziazioni erano veloci e chiare. La cornice è chiara: si prepara il letto, si rispettano tutte le idee.

La cornice chiara è molto importante quando si lavora con più di tre bambini (es. nel nido). La più grande ha una buona capacità d’insieme e di avere interazioni uno a uno. Si fa, al riguardo, riferimento alla teoria di Tronik sulle competenze sociali precoci.

Un altro video visionato riguarda una mamma di 44 anni mentre gioca con la figlia di 7 anni che ha un fratello gemello. La mamma ha problemi con la figlia perché la bambina è diventata lenta tanto da non riuscire a fare gli sport che comunque le piacciono perché è troppo lenta. A scuola si distrae molto.
In famiglia non capiscono questo cambiamento. Il fratello gemello ha un deficit al lato sinistro del corpo e dà da fare ai genitori.

I problemi della bambina sono iniziati un anno fa ma ora sono più evidenti.
Quando un fratello non sta bene l’altro cerca di iper-compensare per non dare problemi ai genitori.
L’interazione tra madre e figlia è buona, non vediamo pattern negativi, ma nei temi trattati abbiamo più informazione. Da quanto emerge dal video, infatti, sembra che la bambina abbia un problema nella separazione. Un altro tema che emerge dal video riguarda le capacità sportive. Ansia di separazione, capacità motorie, competizione e perfezionismo sembrano i temi su cui lavorare in terapia con questa famiglia.

Le giornate di studio si concludono con i ringraziamenti per il lavoro sempre stimolante e formativo svolto da Downig e l’appuntamento per gli incontri del 2012.

Iscriviti alla Newsletter

Il tuo indirizzo mail verrà utilizzato solo per inviare la newsletter. Per maggiori informazioni consulta la nostra informativa sulla privacy